Nordica: Anima Mundi
Il mondo intero è dimorato dagli Dèi (Talete)
Se in passato si parlava di mal d’Africa per chi visita quel continente e ordiva il ritorno, nonostante pericoli e deprivazioni, possiamo oggi non parlare di mal d’Artico?Vivendo ormai nei tempi della comunicazione globale, i modi e i mezzi di entrata e uscita da quel mondo sono senz’altro più rapidi e affidabili, meno legati a iniziative di associazioni scientifiche o intere nazioni. Ma cosa richiama un numero sempre maggiore di persone a visitare i Poli del mondo? A sponsorizzare spedizioni, viaggi, esplorazioni amatoriali, crociere o traversate nautiche, spesso ritornandoci più di una volta? Ho qui tra le mani un libro di ritratti polari recentemente pubblicato in Gran Bretagna. Sfogliando le pagine troviamo una lunga rassegna di foto di individui che hanno segnato le loro vite nelle zone artiche. L’ultimo è Graham Dickson, nato nel 1975, e fondatore di una compagnia specializzata nel dare supporto logistico a quelle latitudini. Combinando le conoscenze tradizionali degli Inuit con la moderna tecnologia sta creando lassù a Nunavut una nuova mappa per espandere gli orizzonti dell’eco-turismo. Diversi gli elementi di seduzione evocati da questo angolo di terra. Innanzitutto il desiderio di esplorazione per tutto ciò che è lontano, singolare e esoticamente diverso.
Di riflesso, le zone artiche rappresentano oggi la destinazione più remota del consorzio civile, differenziandosi da un mondo che si colloca oramai per grandi estensioni tra l’urbano e il metropolitano.
Visto però che viaggiare all’interno delle zone temperate è alla portata di tutti, è logico assegnare ai Poli anche l’esclusività dei costi. E qui sforiamo ahimè nel consumismo, contemporanea febbre malarica dello status symbol. Non potrò mai dimenticare il chirurgo di Miami incontrato in Groenlandia apertamente dichiaratosi malato di “polarite”. Ovvero il sentito bisogno di dover tornare ancora e ancora in quel mondo di ghiaccio blu. Come se si fosse innescato il desiderio per un interminabile giro di giostra. C’è in tutto questo un novello sentore di sentimentalismo romantico. Ma non areniamoci in una categoria già vista e sentita perché c’è di più. L’artico è oggi un vero paradiso per l’esteta munito di macchina fotografica a svariati filtri. Il paesaggio e la fauna che possiamo osservare nel transito agevolato da uno zodiac sprizza di ricchezza cromatica, luce, e sopraffina pristina autenticità. In un mondo dove tutto è influenzato e manipolato da tutto, le terre artiche sono le isole che brillano ancora di luce e tenebre proprie. È vero che le correnti aeree trasportano fin lassù la tossicità dei nostri sistemi economici, o delle nostre scelte strategiche. Ma il Nord, l’estremo Nord ricopre tuttora il suo mondo in un “Grande Biancore” conservando gelosamente per noi l’ultimo bastione di inviolata wilderness. Ovvero, un paesaggio ancora vicino alla sua genesi, dove l’umano può provare, e portarsi nel cuore, quella sensazione di primordiale “gettatezza” (termine preso in prestito da Heidegger) che dà un’autentica misura del proprio essere. Con quest’ultima riflessione, iniziamo a viaggiare, e fluire come un mare negli oceani dell’anima. Tale sensazione può difatti rivelarsi “oro” (in senso alchemico) se sfociante in consapevolezza. O meglio, se innesca un processo interiore in cui diventiamo consapevoli di un modo di vedere il mondo radicalmente nuovo. Un modus visionario in cui ci sentiamo più vicini alla “terrestricità”, svincolati da ogni soggettivismo narcisista che tende ad assorbire il tutto nella dimensione letterale dell’Io. Impoverendolo. L’Artico può offrire le immagini con la tonalità giusta per risvegliare questo trasformato orizzonte. E la “polarite” intesa in un’ottica psicologica ne è una conferma. Usciamo e rientriamo “resettati” da quel mondo. Stiamo creando nuovi mondi che ci vivono dentro anche dopo il ritorno a casa. Sono infiniti i misteri dell’Anima Mundi. Si aprono all’universo intero. Lo rendono vivo, unificato e unificante. Nelle zone artiche ci attende una vera avventura che va dritta al cuore della vita.
Massimo Maggiari
Se in passato si parlava di mal d’Africa per chi visita quel continente e ordiva il ritorno, nonostante pericoli e deprivazioni, possiamo oggi non parlare di mal d’Artico?Vivendo ormai nei tempi della comunicazione globale, i modi e i mezzi di entrata e uscita da quel mondo sono senz’altro più rapidi e affidabili, meno legati a iniziative di associazioni scientifiche o intere nazioni. Ma cosa richiama un numero sempre maggiore di persone a visitare i Poli del mondo? A sponsorizzare spedizioni, viaggi, esplorazioni amatoriali, crociere o traversate nautiche, spesso ritornandoci più di una volta? Ho qui tra le mani un libro di ritratti polari recentemente pubblicato in Gran Bretagna. Sfogliando le pagine troviamo una lunga rassegna di foto di individui che hanno segnato le loro vite nelle zone artiche. L’ultimo è Graham Dickson, nato nel 1975, e fondatore di una compagnia specializzata nel dare supporto logistico a quelle latitudini. Combinando le conoscenze tradizionali degli Inuit con la moderna tecnologia sta creando lassù a Nunavut una nuova mappa per espandere gli orizzonti dell’eco-turismo. Diversi gli elementi di seduzione evocati da questo angolo di terra. Innanzitutto il desiderio di esplorazione per tutto ciò che è lontano, singolare e esoticamente diverso.
Di riflesso, le zone artiche rappresentano oggi la destinazione più remota del consorzio civile, differenziandosi da un mondo che si colloca oramai per grandi estensioni tra l’urbano e il metropolitano.
Visto però che viaggiare all’interno delle zone temperate è alla portata di tutti, è logico assegnare ai Poli anche l’esclusività dei costi. E qui sforiamo ahimè nel consumismo, contemporanea febbre malarica dello status symbol. Non potrò mai dimenticare il chirurgo di Miami incontrato in Groenlandia apertamente dichiaratosi malato di “polarite”. Ovvero il sentito bisogno di dover tornare ancora e ancora in quel mondo di ghiaccio blu. Come se si fosse innescato il desiderio per un interminabile giro di giostra. C’è in tutto questo un novello sentore di sentimentalismo romantico. Ma non areniamoci in una categoria già vista e sentita perché c’è di più. L’artico è oggi un vero paradiso per l’esteta munito di macchina fotografica a svariati filtri. Il paesaggio e la fauna che possiamo osservare nel transito agevolato da uno zodiac sprizza di ricchezza cromatica, luce, e sopraffina pristina autenticità. In un mondo dove tutto è influenzato e manipolato da tutto, le terre artiche sono le isole che brillano ancora di luce e tenebre proprie. È vero che le correnti aeree trasportano fin lassù la tossicità dei nostri sistemi economici, o delle nostre scelte strategiche. Ma il Nord, l’estremo Nord ricopre tuttora il suo mondo in un “Grande Biancore” conservando gelosamente per noi l’ultimo bastione di inviolata wilderness. Ovvero, un paesaggio ancora vicino alla sua genesi, dove l’umano può provare, e portarsi nel cuore, quella sensazione di primordiale “gettatezza” (termine preso in prestito da Heidegger) che dà un’autentica misura del proprio essere. Con quest’ultima riflessione, iniziamo a viaggiare, e fluire come un mare negli oceani dell’anima. Tale sensazione può difatti rivelarsi “oro” (in senso alchemico) se sfociante in consapevolezza. O meglio, se innesca un processo interiore in cui diventiamo consapevoli di un modo di vedere il mondo radicalmente nuovo. Un modus visionario in cui ci sentiamo più vicini alla “terrestricità”, svincolati da ogni soggettivismo narcisista che tende ad assorbire il tutto nella dimensione letterale dell’Io. Impoverendolo. L’Artico può offrire le immagini con la tonalità giusta per risvegliare questo trasformato orizzonte. E la “polarite” intesa in un’ottica psicologica ne è una conferma. Usciamo e rientriamo “resettati” da quel mondo. Stiamo creando nuovi mondi che ci vivono dentro anche dopo il ritorno a casa. Sono infiniti i misteri dell’Anima Mundi. Si aprono all’universo intero. Lo rendono vivo, unificato e unificante. Nelle zone artiche ci attende una vera avventura che va dritta al cuore della vita.
Massimo Maggiari