Con il cinema non si scherza
Sembra di sentirlo Mario Monicelli, sembra di sentire la sua voce, divenuta negli anni più dura e più ruvida, ricordare, criticare, indignarsi ma farsi anche propositiva, suggerire, rivolgersi alle generazioni più giovani, come se a queste appartenesse e non a quella di un uomo nato nel 1915.
Un’ altra voce, non meno presente e autorevole, lo incalza e gli fa da contrappunto: è quella di Goffredo Fofi, raffinato e “combattente” studioso di cinema e di costume, che di Monicelli è vent’anni più giovane e come lui non demorde. Due “mostri” della cultura italiana nel chiuso di un appartamento romano nel rione Monti, residenza di Monicelli, a fine 2008; è la genesi del progetto che si concluderà tre anni dopo con la pubblicazione, da parte della benemerita Cineteca di Bologna, del libro-intervista: “Con il cinema non si scherza - Conversazione con Goffredo Fofi”. “Ci vorrebbe una rivoluzione!” esclama il regista, 93 anni. Poi si chiede: “ma chi la fa? Chi abbiamo, come pensatori della politica?”. E il racconto bio-cinematografico, che sembrava essere l’ossatura del libro, diventa ben presto un “discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani” per citare Giacomo Leopardi, che su Italia e italiani ebbe a dire non poco. Proprio al poeta marchigiano e ai suoi “Pensieri”, Monicelli fa riferimento parlando di commedia all’italiana, il filone per certi versi ancora sottovalutato cui appartengono i suoi migliori film, da “I soliti ignoti” a “La Grande Guerra”, da “I compagni” a “L’armata Brancaleone”: “Grande tra gli uomini e di grande terrore è la potenza del riso: contro il quale nessuno nella sua coscienza trova sé munito da ogni parte. Chi ha coraggio di ridere, è padrone del mondo, poco altrimenti di chi è preparato a morire”.
Parole che hanno segnato tutte le pellicole del regista viareggino, anche le minori, anche le non riuscite, che costituiscono in ogni caso la miglior mescolanza di comico e tragico che la cinematografia italiana abbia conosciuto.
Dice Monicelli:“La commedia di costume viene dalla commedia dell’arte, parte dalla fame e dalla morte, dall’arte di arrangiarsi, dalla resistenza alla prepotenza del potere. La fame e la morte sono le prime cose di cui si ride.” E ama ricordare come la commedia all’italiana affondi le radici nel neorealismo e più precisamente in “Roma città aperta” dove “c’è una scena in cui Fabrizi, il prete, per far star zitto un vecchio malato sotto il cui letto i bambini hanno nascosto delle bombe, e mentre nel casamento c’è il rastrellamento tedesco che porterà alla morte della Magnani, lo stordisce con una gran padellata in testa. Bene, è lì secondo me che è nata la commedia all’italiana di tipo nuovo, quella che ha saputo mescolare tragico e comico, morte e vita”.
I ricordi affiorano numerosi dalla conversazione, i ricordi di una carriera iniziata nel 1935 con la realizzazione di un cortometraggio presentato e premiato alla Mostra di Venezia, che prosegue per ben quattordici anni al fianco di registi quali Camerini, Soldati, Matarazzo, Mattoli e molti altri, e approda alla regia nel 1949 con “Totò cerca casa”, record d’incassi quell’anno, diretto a quattro mani con l’amico di una vita, Steno.
Il tutto in un’Italia devastata dal fascismo, dalla guerra, dalla fame, in quel periodo cruciale della nostra Storia di cui oggi sappiamo tutto e non sappiamo nulla perché non ascoltiamo più, prigionieri come siamo di un mondo che, come diceva Paolo Bertolani, “somiglia sempre più a una gabbia impazzita”.
E’ quindi rivolto agli amanti della settima arte, questo prezioso libro, ma soprattutto ai quei giovani che vogliono conoscere e ragionare con la propria testa, senza smarrirsi tra le pagine d’una accademica Storia, magari “aggiustata” a seconda delle convenienze.
Non a caso un capitolo importante è intitolato “Che dire ai giovani”; Monicelli non ha dubbi: “mettersi insieme, e cercare insieme i modi per cambiare la natura della società. Che abbiano interessi sociali, che si chiedano perché si vive così e, se non sono d’accordo, se si sentono offesi da questi modi vivere, che si uniscano in nuclei di fusione”.
Davide Borghini
Un’ altra voce, non meno presente e autorevole, lo incalza e gli fa da contrappunto: è quella di Goffredo Fofi, raffinato e “combattente” studioso di cinema e di costume, che di Monicelli è vent’anni più giovane e come lui non demorde. Due “mostri” della cultura italiana nel chiuso di un appartamento romano nel rione Monti, residenza di Monicelli, a fine 2008; è la genesi del progetto che si concluderà tre anni dopo con la pubblicazione, da parte della benemerita Cineteca di Bologna, del libro-intervista: “Con il cinema non si scherza - Conversazione con Goffredo Fofi”. “Ci vorrebbe una rivoluzione!” esclama il regista, 93 anni. Poi si chiede: “ma chi la fa? Chi abbiamo, come pensatori della politica?”. E il racconto bio-cinematografico, che sembrava essere l’ossatura del libro, diventa ben presto un “discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani” per citare Giacomo Leopardi, che su Italia e italiani ebbe a dire non poco. Proprio al poeta marchigiano e ai suoi “Pensieri”, Monicelli fa riferimento parlando di commedia all’italiana, il filone per certi versi ancora sottovalutato cui appartengono i suoi migliori film, da “I soliti ignoti” a “La Grande Guerra”, da “I compagni” a “L’armata Brancaleone”: “Grande tra gli uomini e di grande terrore è la potenza del riso: contro il quale nessuno nella sua coscienza trova sé munito da ogni parte. Chi ha coraggio di ridere, è padrone del mondo, poco altrimenti di chi è preparato a morire”.
Parole che hanno segnato tutte le pellicole del regista viareggino, anche le minori, anche le non riuscite, che costituiscono in ogni caso la miglior mescolanza di comico e tragico che la cinematografia italiana abbia conosciuto.
Dice Monicelli:“La commedia di costume viene dalla commedia dell’arte, parte dalla fame e dalla morte, dall’arte di arrangiarsi, dalla resistenza alla prepotenza del potere. La fame e la morte sono le prime cose di cui si ride.” E ama ricordare come la commedia all’italiana affondi le radici nel neorealismo e più precisamente in “Roma città aperta” dove “c’è una scena in cui Fabrizi, il prete, per far star zitto un vecchio malato sotto il cui letto i bambini hanno nascosto delle bombe, e mentre nel casamento c’è il rastrellamento tedesco che porterà alla morte della Magnani, lo stordisce con una gran padellata in testa. Bene, è lì secondo me che è nata la commedia all’italiana di tipo nuovo, quella che ha saputo mescolare tragico e comico, morte e vita”.
I ricordi affiorano numerosi dalla conversazione, i ricordi di una carriera iniziata nel 1935 con la realizzazione di un cortometraggio presentato e premiato alla Mostra di Venezia, che prosegue per ben quattordici anni al fianco di registi quali Camerini, Soldati, Matarazzo, Mattoli e molti altri, e approda alla regia nel 1949 con “Totò cerca casa”, record d’incassi quell’anno, diretto a quattro mani con l’amico di una vita, Steno.
Il tutto in un’Italia devastata dal fascismo, dalla guerra, dalla fame, in quel periodo cruciale della nostra Storia di cui oggi sappiamo tutto e non sappiamo nulla perché non ascoltiamo più, prigionieri come siamo di un mondo che, come diceva Paolo Bertolani, “somiglia sempre più a una gabbia impazzita”.
E’ quindi rivolto agli amanti della settima arte, questo prezioso libro, ma soprattutto ai quei giovani che vogliono conoscere e ragionare con la propria testa, senza smarrirsi tra le pagine d’una accademica Storia, magari “aggiustata” a seconda delle convenienze.
Non a caso un capitolo importante è intitolato “Che dire ai giovani”; Monicelli non ha dubbi: “mettersi insieme, e cercare insieme i modi per cambiare la natura della società. Che abbiano interessi sociali, che si chiedano perché si vive così e, se non sono d’accordo, se si sentono offesi da questi modi vivere, che si uniscano in nuclei di fusione”.
Davide Borghini