I giovani e l'arte
Articolo 1: intervista a Andrea Masiello
Intervista a Andrea Masiello
Chi è Andrea Masiello?
«Abito a Lerici, ho 25 anni, sono e mi sento lericino, anche se di prima generazione, amo il paese dove sono nato e cresciuto e l’ho amato ancora di più nei quattro anni in cui ho vissuto a Parma pensandolo con la nostalgia letteraria che gli si addice. Sono laureato in Scienze della Comunicazione e sto conseguendo un master in Giurista d’impresa, ho tre gatti, la passione per la pallanuoto, adoro leggere e camminare, infatti non ho la patente, un po’ per vezzo e un po’ perché ho la tendenza ad accartocciarmi con ogni mezzo su ruote. Odio solo chi si prende troppo sul serio».
Perché fare poesia?
«Ci sono molte ragioni per fare poesia: per me è stata la risposta a un forte stato emotivo, uno sfogo in un brutto momento. Così ho iniziato e ho scoperto un mondo vastissimo e affascinante che non può essere catalogabile come un semplice genere letterario. La poesia è espressione di quello che penso come lo penso. Più semplicemente un modo di vedere e sentire la vita nelle cose di tutti i giorni, apprezzandone la bellezza. La poesia è gratitudine per la bellezza di questo mondo. Per questo penso che ce ne sia bisogno. Per non restare indifferenti. Anzi, è anche un modo per conoscersi meglio, guardarsi dentro e mettere su carta sensazioni, ricordi o immagini con parole disposte secondo una certa metrica, oppure totalmente libere di legarsi in immagini; ed è arte nella misura in cui stimola le nostre emozioni, vibrando insieme a noi».
Come hai iniziato a fare poesia?
«Ho scoperto la poesia molto tardi all’Università, nonostante mi sia sempre piaciuto leggere, fin da piccolo. Ricordo il primo libro che ho veramente letto: “Inkiostrik il mostro dell’inchiostro” di Ursel Scheffler; il primo libro che mi ha veramente emozionato “L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Milan Kundera e quello che mi ha insegnato a scrive e a comunicare le mie emozioni “Cent’anni di solitudine” di Gabriel Garcia Marquez. Non ho mai pensato di sapere scrivere finché non ho scritto il primo verso, in maniera molto semplice e naturale, quasi mi fosse suggerito all’orecchio. In seguito mi sono appassionato veramente alla poesia e ho cominciato a leggere, in fila: Bertolani, il mio primo amore, i poeti russi e Blake, fino ad arrivare alla Szymborska che ritengo la massima poetessa del ‘900 per la leggerezza di versi che schiudono gli occhi sulla profondità indicibile della condizione umana e sulla bellezza lirica delle piccole cose».
Quali soddisfazioni e quali prospettive vedi nel tuo futuro di poeta?
«Non vedo prospettive concrete dal punto di vista della pubblicazione, né per me né per quanti della mia generazione si affacciano sul mondo della poesia, principalmente per i trend commerciali poco favorevoli, tendenza comprovata durante i miei studi e, in secondo luogo, per lo scarso interesse degli editori nei confronti del genere poetico, difficilmente commercializzabile, ed in generale per qualsiasi cosa esca dall’orbita dei romanzi di consumo. Penso che la scelta di fare poesia oggi sia prima di tutto un impegno verso se stessi e verso le schiere di poeti che nei secoli hanno contribuito a creare la forma mentis della nostra società, com’è oggi, per quanto bistrattata o misconosciuta possa essere.
La realtà è che per quanto sia lasciato alla polvere delle biblioteche, fra trecento anni si sentirà ancora parlare di Omero nella voce dei popoli di domani. È’ per questo motivo che continuerò a scrivere anche senza l’approvazione o il plauso di un lettore; per me stesso, per sentirmi saldato al Creato ogni volta che lo riscrivo sulla punta di una penna».
Candido miasma
Sbuffano le ciminiere senza posa, come
l’ultima fumata in attesa del plotone.
Violentando il vasto utero del cielo
in volute di candido miasma.
Tutto intorno in triste ordine:
la parata di tralicci solitari.
La sirena urla asmatica e le luci,
impettite in pose militari.
Luna rossa, di un rosso metallico
nel golgota dei fumi industriali.
Sanguinante discarica dei sogni
di una generazione di proletari.
intervista di Anna Ferrari
«Abito a Lerici, ho 25 anni, sono e mi sento lericino, anche se di prima generazione, amo il paese dove sono nato e cresciuto e l’ho amato ancora di più nei quattro anni in cui ho vissuto a Parma pensandolo con la nostalgia letteraria che gli si addice. Sono laureato in Scienze della Comunicazione e sto conseguendo un master in Giurista d’impresa, ho tre gatti, la passione per la pallanuoto, adoro leggere e camminare, infatti non ho la patente, un po’ per vezzo e un po’ perché ho la tendenza ad accartocciarmi con ogni mezzo su ruote. Odio solo chi si prende troppo sul serio».
Perché fare poesia?
«Ci sono molte ragioni per fare poesia: per me è stata la risposta a un forte stato emotivo, uno sfogo in un brutto momento. Così ho iniziato e ho scoperto un mondo vastissimo e affascinante che non può essere catalogabile come un semplice genere letterario. La poesia è espressione di quello che penso come lo penso. Più semplicemente un modo di vedere e sentire la vita nelle cose di tutti i giorni, apprezzandone la bellezza. La poesia è gratitudine per la bellezza di questo mondo. Per questo penso che ce ne sia bisogno. Per non restare indifferenti. Anzi, è anche un modo per conoscersi meglio, guardarsi dentro e mettere su carta sensazioni, ricordi o immagini con parole disposte secondo una certa metrica, oppure totalmente libere di legarsi in immagini; ed è arte nella misura in cui stimola le nostre emozioni, vibrando insieme a noi».
Come hai iniziato a fare poesia?
«Ho scoperto la poesia molto tardi all’Università, nonostante mi sia sempre piaciuto leggere, fin da piccolo. Ricordo il primo libro che ho veramente letto: “Inkiostrik il mostro dell’inchiostro” di Ursel Scheffler; il primo libro che mi ha veramente emozionato “L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Milan Kundera e quello che mi ha insegnato a scrive e a comunicare le mie emozioni “Cent’anni di solitudine” di Gabriel Garcia Marquez. Non ho mai pensato di sapere scrivere finché non ho scritto il primo verso, in maniera molto semplice e naturale, quasi mi fosse suggerito all’orecchio. In seguito mi sono appassionato veramente alla poesia e ho cominciato a leggere, in fila: Bertolani, il mio primo amore, i poeti russi e Blake, fino ad arrivare alla Szymborska che ritengo la massima poetessa del ‘900 per la leggerezza di versi che schiudono gli occhi sulla profondità indicibile della condizione umana e sulla bellezza lirica delle piccole cose».
Quali soddisfazioni e quali prospettive vedi nel tuo futuro di poeta?
«Non vedo prospettive concrete dal punto di vista della pubblicazione, né per me né per quanti della mia generazione si affacciano sul mondo della poesia, principalmente per i trend commerciali poco favorevoli, tendenza comprovata durante i miei studi e, in secondo luogo, per lo scarso interesse degli editori nei confronti del genere poetico, difficilmente commercializzabile, ed in generale per qualsiasi cosa esca dall’orbita dei romanzi di consumo. Penso che la scelta di fare poesia oggi sia prima di tutto un impegno verso se stessi e verso le schiere di poeti che nei secoli hanno contribuito a creare la forma mentis della nostra società, com’è oggi, per quanto bistrattata o misconosciuta possa essere.
La realtà è che per quanto sia lasciato alla polvere delle biblioteche, fra trecento anni si sentirà ancora parlare di Omero nella voce dei popoli di domani. È’ per questo motivo che continuerò a scrivere anche senza l’approvazione o il plauso di un lettore; per me stesso, per sentirmi saldato al Creato ogni volta che lo riscrivo sulla punta di una penna».
Candido miasma
Sbuffano le ciminiere senza posa, come
l’ultima fumata in attesa del plotone.
Violentando il vasto utero del cielo
in volute di candido miasma.
Tutto intorno in triste ordine:
la parata di tralicci solitari.
La sirena urla asmatica e le luci,
impettite in pose militari.
Luna rossa, di un rosso metallico
nel golgota dei fumi industriali.
Sanguinante discarica dei sogni
di una generazione di proletari.
intervista di Anna Ferrari