Percy Bisshe Shelley a Lerici
Inizio, con uno sguardo sulla vita del poeta inglese Percy B. Shelley, una serie di articoli dedicati agli artisti che hanno soggiornato nel nostro Golfo.
Shelley giunge a Lerici nel 1822, a seguito di un’intensa crisi, economica e familiare, che lo porta ad abbandonare l’Inghilterra e a girovagare per mezza Europa, insieme con la moglie Mary Wallstonecraft e al figlioletto. E’ un anno di profonda depressione, che mette in pericolo tutto il suo equilibrio, non solo mentale ma anche intellettuale. Scrive a questo proposito all’amico Peacock: "Non scrivo niente, e probabilmente non scriverò più niente. E' offensivo vedere il mio nome posto fra coloro che non hanno nome. Se non posso essere qualcosa di meglio, preferisco non essere niente". E a Mary: "...mi vorrei ritirare con te e il bambino in un'isola deserta in mezzo al mare, mi costruirei una barca...non leggerei recensioni, non parlerei con altri scrittori". Forse per esaudire questo desiderio o per qualche strano segno del destino, nel suo ultimo anno di vita, nel 1822, Shelley decide di passare l'estate a Lerici e di farsi costruire una barca. Affitta Casa Magni a San Terenzo e vi si trasferisce con tutto il gruppo. In maggio, è pronta l'imbarcazione commissionata a Genova, battezzata dallo stesso Shelley con il nome di Ariel. La salute peggiora sempre più, il poeta soffre di incubi e allucinazione: afferma di aver sognato una bambina che sorgeva dal mare battendo le mani, dice di aver incontrato sulla terrazza il suo doppio, sogna Edward e Jane che, feriti e sanguinanti, entrano nella sua camera per avvertirlo che la casa sta sprofondando, quasi strangola Mary. Nonostante tutto questo, il primo di luglio salpa con l'Ariel alla volta di Livorno, per incontrare, con Byron, l'amico Leigh Hunt, nel frattempo giunto a Pisa. I tre si trattengono per tre giorni tra Livorno e Pisa. Il giorno otto, Shelley insieme a Edward e al marinaio Charles Vivian, riprende il mare in direzione di Lerici. A dieci miglia da Viareggio l'imbarcazione è travolta da una tempesta, e solo dieci giorni dopo i corpi quasi irriconoscibili dei tre uomini vengono restituiti dal mare. Secondo le leggi allora vigenti sulla quarantena, le autorità dispongono che vengano cremati. Le spoglie di Shelley e di Williams vengono bruciate su un rogo eretto sulla spiaggia, alla presenza di Byron, Hunt e un amico dei Williams, Edward Trelawny. Proprio quest'ultimo raccoglie le ceneri e il cuore di Shelley. Le ceneri vengono sparse il 21 gennaio 1823 nella parte alta del cimitero protestante di Roma, davanti alla Piramide. Il cuore, viene dato a Hunt, che, dopo un litigio, lo rende a Mary. Molto tempo dopo viene sepolto a Bournmouth, accanto al figlio Percy. Sulla lapide, nel cimitero romano, ad accompagnare l'ultimo viaggio del poeta sono i versi del canto di Ariel, lo spirito protagonista de "La tempesta" di Shakespeare: "niente di lui si dissolve, ma subisce una metamorfosi marina in qualche cosa di ricco e strano".
L’intensità di un desiderio
Avere sete e non trovare ristoro
errare lamentando con piccoli incerti passi
-fermarsi e meditare-
sentire il sangue che scorre attraverso le vene e che brucia
dove pensieri e indistinte sensazioni si fondono
nutrire l’immagine di carezze simulate
fino a che l’immaginazione indebolita non arriva a possedere
soltanto un’ombra creata a metà,
poi tutta la notte il dolore….
Solange Passalacqua
Shelley giunge a Lerici nel 1822, a seguito di un’intensa crisi, economica e familiare, che lo porta ad abbandonare l’Inghilterra e a girovagare per mezza Europa, insieme con la moglie Mary Wallstonecraft e al figlioletto. E’ un anno di profonda depressione, che mette in pericolo tutto il suo equilibrio, non solo mentale ma anche intellettuale. Scrive a questo proposito all’amico Peacock: "Non scrivo niente, e probabilmente non scriverò più niente. E' offensivo vedere il mio nome posto fra coloro che non hanno nome. Se non posso essere qualcosa di meglio, preferisco non essere niente". E a Mary: "...mi vorrei ritirare con te e il bambino in un'isola deserta in mezzo al mare, mi costruirei una barca...non leggerei recensioni, non parlerei con altri scrittori". Forse per esaudire questo desiderio o per qualche strano segno del destino, nel suo ultimo anno di vita, nel 1822, Shelley decide di passare l'estate a Lerici e di farsi costruire una barca. Affitta Casa Magni a San Terenzo e vi si trasferisce con tutto il gruppo. In maggio, è pronta l'imbarcazione commissionata a Genova, battezzata dallo stesso Shelley con il nome di Ariel. La salute peggiora sempre più, il poeta soffre di incubi e allucinazione: afferma di aver sognato una bambina che sorgeva dal mare battendo le mani, dice di aver incontrato sulla terrazza il suo doppio, sogna Edward e Jane che, feriti e sanguinanti, entrano nella sua camera per avvertirlo che la casa sta sprofondando, quasi strangola Mary. Nonostante tutto questo, il primo di luglio salpa con l'Ariel alla volta di Livorno, per incontrare, con Byron, l'amico Leigh Hunt, nel frattempo giunto a Pisa. I tre si trattengono per tre giorni tra Livorno e Pisa. Il giorno otto, Shelley insieme a Edward e al marinaio Charles Vivian, riprende il mare in direzione di Lerici. A dieci miglia da Viareggio l'imbarcazione è travolta da una tempesta, e solo dieci giorni dopo i corpi quasi irriconoscibili dei tre uomini vengono restituiti dal mare. Secondo le leggi allora vigenti sulla quarantena, le autorità dispongono che vengano cremati. Le spoglie di Shelley e di Williams vengono bruciate su un rogo eretto sulla spiaggia, alla presenza di Byron, Hunt e un amico dei Williams, Edward Trelawny. Proprio quest'ultimo raccoglie le ceneri e il cuore di Shelley. Le ceneri vengono sparse il 21 gennaio 1823 nella parte alta del cimitero protestante di Roma, davanti alla Piramide. Il cuore, viene dato a Hunt, che, dopo un litigio, lo rende a Mary. Molto tempo dopo viene sepolto a Bournmouth, accanto al figlio Percy. Sulla lapide, nel cimitero romano, ad accompagnare l'ultimo viaggio del poeta sono i versi del canto di Ariel, lo spirito protagonista de "La tempesta" di Shakespeare: "niente di lui si dissolve, ma subisce una metamorfosi marina in qualche cosa di ricco e strano".
L’intensità di un desiderio
Avere sete e non trovare ristoro
errare lamentando con piccoli incerti passi
-fermarsi e meditare-
sentire il sangue che scorre attraverso le vene e che brucia
dove pensieri e indistinte sensazioni si fondono
nutrire l’immagine di carezze simulate
fino a che l’immaginazione indebolita non arriva a possedere
soltanto un’ombra creata a metà,
poi tutta la notte il dolore….
Solange Passalacqua